LUMEN CHRISTI B13

L’Enciclica Dominum et vivificantem (V)

Il ruolo dello Spirito Santo nella Redenzione va considerato in chiave storica: dal peccato originario fino ai nostri tempi, lo Spirito ci manifesta soprattutto la realtà interiore del peccato e quindi quella del mistero della Croce. Anche qui siamo costretti a abbandonare i nostri concetti giuridici per considerare l’interiorità del mistero del peccato e della Redenzione: esso significa rottura e restaurazione dell’Alleanza personale.

1 – Il peccato originario

È rifiuto della verità contenuta nella Parola di Dio, la quale è lo stesso Verbo, cioè la Persona divina: dalla trasgressione si passa al rifiuto della verità.

DV n. 33: “Come abbiamo detto… del cielo e della terra”

Nell’atto stesso della creazione era contenuto tutto quanto diventerà la materia della storia della salvezza. In particolare, il fatto per l’uomo di essere creato a “immagine e somiglianza” di Dio significa la capacità di una rapporto di Alleanza con Dio.

DV n.34: “Sullo sfondo… comunione con sé”

In quanto lo Spirito scruta le profondità di Dio e la coscienza stessa dell’uomo, siamo convinti quanto al peccato.

DV n. 37: “Ci troviamo qui… e del Figlio”

La prospettiva storica poi, porta la meditazione del Santo Padre fino ai tempi attuali, seguendo l’insegnamento del Concilio.

2 – Sofferenza divina e sacrificio redentore

Considerando il peccato realtà contraria alla volontà salvifica di Dio, la quale procede dal suo amore, è chiaro che bisogna porre il problema della sofferenza in Dio, sofferenza veramente misteriosa e che solo lo Spirito che scruta le profondità di Dio può manifestare:

DV n. 39: “Il convincere del peccato… prevalga il dono”

Con questo testo l’enciclica allude al dibattito teologico odierno sulla sofferenza di Dio. In esso viene affermata l’assenza del dolore in quanto implicherebbe dipendenza e imperfezione da parte di Dio, ma la sua presenza misteriosa nel cuore di Dio.
Dio infatti ha voluto liberamente unirsi all’uomo per mezzo di un’alleanza di amore. Il cuore di Dio è quindi sempre pronto al dono dell’amore e proprio sotto questo punto di vista appartiene allo Spirito come Persona-dono di rivelare tale mistero.
Inoltre, essendo la sofferenza per l’uomo il frutto del peccato, “lo Spirito entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo” (DV n. 39).
La Redenzione appare quindi come un mistero totalmente basato sull’amore fedele di Dio; sia il Verbo che lo Spirito in quanto sono mandati dal Padre, assumono totalmente tale mistero.


Passi Scritturistici

DV n. 33

Come abbiamo detto, si tratta del rifiuto o, almeno, dell’allontanamento dalla verità contenuta nella Parola del Padre. Il rifiuto si esprime in pratica come «disobbedienza», in un atto compiuto come effetto della tentazione, che proviene dal «padre della menzogna». Dunque, alla radice del peccato umano sta la menzogna come radicale rifiuto della verità contenuta nel Verbo del Padre, mediante il quale si esprime l’amorevole onnipotenza del Creatore: l’onnipotenza ed insieme l’amore «di Dio Padre, creatore del cielo e della terra».

DV n.34

Sullo sfondo dell’«immagine e somiglianza» di Dio, «il dono dello Spirito» significa, infine, chiamata all’amicizia, nella quale le trascendenti «profondità di Dio» vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell’uomo. Il Concilio Vaticano II insegna: «Dio invisibile (Col 1,15); (1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (Es 33,11); (Gv 15,14) e si intrattiene con loro (Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé».

DV n. 37

Ci troviamo qui al centro stesso di ciò che si potrebbe chiamare l’«anti-Verbo», cioè l’«anti-verità». Viene, infatti, falsata la verità dell’uomo: chi è l’uomo e quali sono i limiti invalicabili del suo essere e della sua libertà. Questa «anti-verità» è possibile, perché nello stesso tempo viene falsata completamente la verità su chi è Dio. Il Dio creatore viene posto in stato di sospetto, anzi addirittura in stato di accusa, nella coscienza della creatura. Per la prima volta nella storia dell’uomo appare il perverso «genio del sospetto». Esso cerca di «falsare» il Bene stesso, il Bene assoluto, che proprio nell’opera della creazione si è manifestato come il bene che dona in modo ineffabile: come bonum diffusivum sui, come amore creativo. Chi può pienamente «convincere del peccato», ossia di questa motivazione della disobbedienza originaria dell’uomo, se non colui che solo è il dono e la fonte di ogni elargizione, se non lo Spirito, che «scruta le profondità di Dio» ed è l’amore del Padre e del Figlio?

DV n. 39

Il «convincere del peccato» non dovrà, dunque, significare anche il rivelare la sofferenza? Rivelare il dolore inconcepibile ed inesprimibile, che, a causa del peccato, il Libro sacro nella sua visione antropomorfica sembra intravvedere nelle «profondità di Dio» e, in un certo senso, nel cuore stesso dell’ineffabile Trinità? La Chiesa ispirandosi alla Rivelazione, crede e professa che il peccato è offesa di Dio. Che cosa nell’imperscrutabile intimità del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo corrisponde a questa «offesa», a questo rifiuto dello Spirito che è amore e dono? La concezione di Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore, derivante da carenze o ferite; ma nelle «profondità di Dio» c’è un amore di Padre che dinanzi al peccato dell’uomo, secondo il linguaggio biblico, reagisce fino al punto di dire: «Sono pentito di aver fatto l’uomo». «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra… E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo… Il Signore disse: “Sono pentito di averli fatti”». Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l’uomo, quasi condividendo il suo dolore. In definitiva, questo imperscrutabile e indicibile «dolore» di padre genererà soprattutto la mirabile economia dell’amore redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell’uomo l’amore possa rivelarsi più forte del peccato. Perché prevalga il «dono»!