L’immagine del Santo Abba sembra particolarmente adatta a suggerire lo scopo cui mira la preghiera cristiana.
Ecco un’alta montagna che sale fino al cielo in possenti scaloni di roccia sui quali rimbalza la luce; schegge di pietra luminosa si ergono qua e là come aghi di ghiaccio; ai suoi piedi sette monaci – dunque tutti i monaci, dunque tutti coloro che cercano Dio innanzitutto – stanno accovacciati ascoltando con rispetto e venerazione (come indica il gesto che fanno con le mani) un monaco aureolato, vestito di bianco, seduto su un ampio sedile in legno; alla grandezza della sua santità, alludono le sue proporzioni di gigante in confronto agli altri – un procedimento simbolico abituale nell’Antichità e poi nell’iconografia cristiana. Alle sue spalle, ma quasi incorporata con lui, una costruzione dal tetto triangolare – la sua cella – come semplice freccia diretta verso il cielo, e il contorno è ripreso dalla linea del cappuccio.
Il santo è “il somigliante”, come lo chiamano i cristiani d’Oriente, colui che ha riacquistato la somiglianza: questo non viene comunicato soltanto dalla luminosità delle vesti che fanno del santo abba una fonte raggiante di luce, ma anche dalla curva sollecita del suo corpo, sottolineata dalle linee dolci del sedile, come pure dal gesto delle sue mani tese verso i monaci più che nell’atteggiamento della spiegazione in un gesto di accoglienza e d’incoraggiamento che esprime una benevolenza radicale: egli è diventato in pienezza “immagine-di”, immagine che rimanda a colui che è l’Immagine assoluta della Bontà paterna. Al di là dei rigori dell’ascensione, il santo testimonia che l’unificazione perfetta del suo essere si è fatta nell’amore, come viene significato dal fatto che la zona intorno a lui è la sola caratterizzata da un colore caldo, e che Dio dimora realmente tra gli uomini; in altre parole testimonia che la casa della Sapienza e il cuore dell’uomo coincidono:
“La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne” (Pr 9, 1);
“E noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23).
C’è un ultimo dettaglio significativo: mentre i monaci in ascolto sono calzati, il santo abba è rappresentato a piedi nudi. Questa semplice assenza, che significa negativamente la rinuncia al possesso della terra, allude positivamente a un contatto fraterno con essa, introducendo sotto il velo del simbolo nella dimensione più segreta della rassomiglianza all’Immagine: il santo è colui che riconoscendosi creatura imparentata con la terra – humilis – è ritornato nel giardino della relazione, quello che il Padre e il Figlio nella comunicazione dello Spirito avevano preparato per lui fin dal principio.
Il cristiano, l’uomo che prega, e che pregando si lascia trasformare, diventa luminoso:
“Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).